Purtroppo questa situazione, il cosiddetto Rubygate, non modifica di molto lo stato attuale dei rapporti di genere nel nostro paese (e non solo). All'impoverimento generale della cultura (intesa nel senso più largo possibile) almeno degli ultimi 15 anni, ma probabilmente dal 1979 in poi, non ha fatto riscontro, da parte della società civile, una reazione proporzionata. Anzi, quel poco di società civile che c'era si è rinchiusa nei suoi fortini, quando ancora c'erano - che fossero partiti o sindacati, università delle donne o centri sociali, collettivi o associazioni - di fatto abbiamo lasciato campo libero alla "cultura televisiva" di creare un nuovo immaginario post-moderno fatto di consumo. Oggi non ci sono più luoghi reali in cui le giovani e meno giovani generazioni possano materialmente vedere e, magari, provare qualcosa di differente. O sono così poche e così emarginate, che servono giusto a dimostrare, falsamente, che viviamo in una democrazia. Tutte queste giustificazioni, però, non sono sufficienti a toglierci dalle spalle il fardello che ci grava: siamo maschi italiani del XXI secolo e, chi più chi meno, spesso riproduciamo quelle dinamiche di genere di cui il nostro Presidente del Consiglio è esponente di prim'ordine. Che vergogna.
Antisessismo
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